#Io amo il mio lavoro – PARTE 1

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ilovemyjobNel periodo di crisi che stiamo attraversando sentire persone che si esprimono in questi termini rispetto al proprio lavoro riscalda il cuore. Più di qualcuno sembra fare ciò che gli piace e a più di qualcuno piace ciò che fa ed è appassionato nel proprio lavoro.

Ma cosa vuol dire passione per il proprio lavoro? Chi è appassionato sta meglio? Da dove deriva la passione e come è possibile animarla a livello individuale e organizzativo? Come aiutare a prevenire e gestire il problema della dipendenza da lavoro?

Questo il primo capitolo di una serie di articoli focalizzati su questo tema.

Passione travolgente versus lavoro travolgente

Mutuando le definizioni del termine passione dall’ambito dello sport e del gioco d’azzardo, per passione si intende una forte inclinazione verso un’attività che le persone gradiscono, che ritengono importante e nella quale investire tempo ed energia su base regolare[1]. Sono state identificate due forme di passione: la passione armoniosa e quella ossessiva.

Quando una persona coltiva una passione armoniosa ha capacità di controllo sull’attività che svolge, la quale occupa uno spazio significativo ma non invadente nella sua vita. Al contrario, nel caso della passione ossessiva, è il lavoro che esercita controllo sulla persona, occupando uno spazio sproporzionato nell’identità della stessa e provocando conflitti con altri domini di vita.

In ambito lavorativo il termine passione per il lavoro, come emerge da uno studio qualitativo sulla motivazione degli imprenditori, indica un amore travolgente e appassionato, esclusivo per il proprio lavoro[2]. La passione è “l’entusiasmo, la gioia e lo zelo che provengono dalla ricerca energetica e instancabile di uno scopo degno, stimolante e incoraggiante”[3]. Ciò che si intende per passione armoniosa e ossessiva si rintraccia nei concetti motivazionali di:

  • work engagement, termine coniato da Bakker & Leiter (2010), uno stato mentale legato al lavoro, positivo e appagante, caratterizzato da vigore (alti livelli di energia, resistenza mentale nel lavoro, capacità di concentrare i propri sforzi sul lavoro epersistenza nell’affrontare le difficoltà), dedizione (coinvolgimento emotivo nel proprio lavoro, senso di entusiasmo, ispirazione, orgoglio e sfida), e assorbimento (concentrazione totale ed immersione nel proprio lavoro)[4]. Chi è work engaged sperimenta un senso di connessione energetica con il lavoro; pensando alla propria attività professionale, attuale o desiderata, prova emozioni positive, lavora duro, percepisce che è importante per sé svolgere quell’attività, si sente capace in essa e vi partecipa con entusiasmo, senso di sfida, soddisfazione e orgoglio.
  • workaholism, una condizione per la quale si occupa moltissimo tempo con il lavoro e con attività ad esso collegate, si trova difficile staccare con la mente dalle attività lavorative e si segue una sorta di spinta interiore costrittiva verso il lavoro[5]. La persona in questa condizione prova emozioni negative mentre lavora, agitazione e frustrazione oltre al fatto che sente di dover lavorare per forza.

Recenti studi hanno evidenziato il collegamento di entrambi i concetti alla tendenza innata ad investire eccessivamente tempo e pensieri sul lavoro e all’immergersi completamente in esso[6]. La differenza sembra risiedere nella qualità delle emozioni sperimentate durante lo svolgimento delle attività e nella spinta compulsiva al lavoro che connota il workaholism.

 Gli effetti del work engagement

Per il benessere

Una persona che ama il proprio lavoro e si appassiona in esso si sente meglio di chi fa qualcosa che non gli piace, in termini di benessere ed energia fisica, di significato che da alla propria vita, autostima, relazioni interpersonali e di coppia, capacità di gestione dello stress e molto altro. I vantaggi sono numerosi a livello fisico, psicologico, sociale ed economico.

Il work engagement sembra predire il benessere fisico e mentale delle persone, che, a sua volta, influisce positivamente sulla performance[7] dei lavoratori e in relazione agli imprenditori predice una buona prestazione aziendale finanziaria a lungo termine[8].

amoarelavorojobs Per la performance e l’organizzazione

Anche le prestazioni lavorative di chi nutre passione per il proprio lavoro sembrano giovarne. Vari studi spiegano infatti che le emozioni positive sperimentate durante il lavoro incrementano la capacità di attenzione, di costruire risorse necessarie per essere efficaci sul lavoro e capacità di costruire relazioni sociali[9]. Chi svolge il proprio lavoro con passione si impegna di più, non si arrende, si sente più auto efficace e quindi sente che i risultati del proprio lavoro dipendono soprattutto da se. Sembra anche che le persone work engaged siano anche più innovative e flessibili sul lavoro. Scontati i vantaggi in termini di produttività a livello organizzativo.

Si è sottolineata anche la maggiore qualità dei servizi percepita dai clienti [10].

Gli effetti del workaholism

Per il benessere

I livelli di benessere psicologico, fisiologico e sociale nelle persone workaholic sono inferiori rispetti a chi non soffre di dipendenza da lavoro[11]. Per il fatto che il lavoro dei workaholic dura molte ore, durante la sera, nel weekend, essi non riescono a recuperare le energie e spesso hanno relazioni superficiali, di scarsa qualità, in quanto i confini relazionali si amplificano rendendoli quasi indisponibili[12]. La vita privata sembra coincidere con quella lavorativa, che “occupa troppo spazio” nell’identità personale.

 Per la performance e l’organizzazione

Peso spalleLa performance dei workaholic non è necessariamente buona e i costi per l’individuo e l’organizzazione sono elevati sia in termini di produttività sia in termini di benessere. Perché? I fattori presi in considerazione sono tanto individuali, quanto organizzativi, in stretta relazione tra loro.

In primo luogo sembra che i workaholic si ingabbino da soli nella mole di lavoro nella quale si costringono: costruiscono progetti eccessivamente ampi e complessi (un bel progetto non coincide necessariamente con un progetto complesso) nei quali si devono impegnare con perfezionismo, rigidità, possibilmente da soli (perché gli viene difficile delegare), generando anche conflitti e difficoltà con i colleghi. Il tema del controllo sembra essere significativo.

Il workaholism inoltre porta le persone a stare a lavoro anche quando non stanno bene, quando dovrebbero prendere malattia, fatto che porta ai seguenti effetti da leggere in ordine conseguenziale[13]:

  1. Innalzamento dei livelli di presenteismo: essere a lavoro anche in presenza di scarse condizioni di salute
  2. Abbassamento dei livelli della qualità della performance
  3. Peggioramento delle condizioni di salute ed esaurimento delle energie
  4. Aumento conseguente dell’assenteismo
  5. Innalzamento dei costi per l’organizzazione e per il Sistema Sanitario Nazionale.

Infine Gorgievski e Hobfoll (2008) parlano di una spirale negativa che connota il workaholism visto in modo processuale: come detto i workaholic lavorano più degli altri e ci si aspetta che lavorino di più anche se le loro prestazioni sono scarse; essi perciò entrano in una spirale negativa che connota sia la performance, sia la perdita di risorse in altri ambiti di vita (famiglia, amicizie, passioni extra lavorative, ecc.). La loro autostima e il senso di appartenenza all’organizzazione diventano sempre più dipendenti dai risultati che ottengono al lavoro, che quindi possono incentivare ulteriormente il workaholism.

Insomma la natura negativa del workaholism è stata dimostrata attraverso numerose ricerche: ci sono elevate correlazioni con l’esaurimento, il conflitto casa-lavoro e tra lavoro eccessivo, disengagement e bassa soddisfazione lavorativa. Sembra inoltre colpire di più le donne e i lavoratori autonomi[14].

CONCLUSIONI

Workaholism e work engagement non hanno perciò gli stessi effetti per la persona e l’organizzazione. In un mondo in cui lavorare tanto è reputato sinonimo di guadagno e di qualità e significa saper cogliere ogni occasione proficua, è però difficile far passare il messaggio che l’impegno e la dedizione al lavoro non sempre sono positivi, anzi se compulsivi possono arrecare danni a lungGocciao termine a livello di produttività e benessere individuale e organizzativo.

L’ostacolo è in primo luogo culturale: le organizzazioni spesso gradiscono e selezionano persone disponibili a “concedere la propria vita”, a sposarsi con il lavoro. Le persone per motivi propri (c’è un mondo da scoprire) e per non disattendere le aspettative della società e dell’azienda spesso sono disposte e si sentono costrette (a volte lo sono) ad accettare questo tipo di contratto.


COSA SI PUO’ FARE?

Il tema è articolato e la ricerca colleziona sempre nuovi progressi. E’ sicuramente necessaria:

  • un’azione personalizzata sulla base della domanda del cliente e del
    cliente stesso (per esempio ci si può chiedere: qual è il significato che la persona che soffre di workaholism attribuisce al lavoro o al proprio super lavoro? / In che modo in una organizzazione si favorisce la tutela dell’equilibrio vita privata-lavoro?)
  • a più livelli (individuale, gruppale, organizzativo),
  • che si proponga tanto di prevenire, quanto di curare il problema,
  • e soprattutto di valorizzare le risorse personali e organizzative per incentivare il work engagement delle persone (per esempio ci si può chiedere: qual è il progetto di vita di questa persona? Che significato ha questo lavoro nell’ambito di tale progetto? L’organizzazione ne tiene conto? Cosa si può fare per valorizzare tale persona a livello organizzativo?).

Questo specifico tema sarà oggetto del prossimo articolo: #Io amo il mio lavoro –  PARTE 2.

 

NOTE BIBLIOGRAFICHE

[1] Vallerand, R.J. (2008), “On the psychology of passion: in search of what makes people’s lives most worth living”, Canadian Psychology49, 1–13.

[2] Shane, S., Locke, E.A. & Collins, C.J. (2003). “Entrepreneurial motivation”, Human Resource Management Review13, 257–79.

[3] Smilor, R.W. (1997), “Entrepreneurship, reflections on a subversive activity”, Journal of Business Venturing12, 341–6.

[4] Schaufeli, W. B., Salanova, M., Gonzáles-Romá, V., & Bakker, A. B. (2002).The measurement of engagement and burnout: A two sample confirmatory factor analytic approach. Journal of Happiness Studies, 3, 71-92; Schaufeli, W.B., Taris, T.W. & Bakker, A.B. (2006). “Dr Jekyll or Mr Hyde? On the differences between work engagement and workaholism”, in R J. Burke (ed.), Research Companion to Working Time and Work Addiction, Cheltenham, UK and Northampton, MA, USA: Edward Elgar, pp. 193–217

[5] Scott, K.S., Moore, K.S. & Miceli, M.P. (1997). “An exploration of the meaning and conse- quences of workaholism”, Human Relations50, 287–314.

[6] Taris, T.W., Geurts, S.A.E., Schaufeli, W.B., Blonk, R.W.B. & Lagerveld, S. (2008). “All day and all of the night: the relative contribution of workaholism components to well-being among self-employed workers”, Work and Stress22, 153–65.; Taris, T.W., Schaufeli, W.B. & Shimazu, A. (2009), “The push and pull of work: the differ- ences between workaholism and work engagement”, in Bakker & Leiter (eds), pp. 39–53.

[7] Demerouti, E. & Bakker, A.B. (2006), “Employee well-being and job performance: where we stand and where we should go”, in Houdmont, J. & McIntyre, S. (eds), Occupational Health Psychology: European Perspectives on Research, Education and Practice, Vol. 1, Maia, Portugal: ISMAI Publications, pp. 83–111.

[8] Gorgievski, M. J., Giesen, C. W. M., & Bakker, A. B. (2000). Financial problems and health complaints among farm-couples: Results of a ten-year follow-up study. Journal of Occupational Health Psychology, 5, 359-373.
 Gorgievski, M.J., Bakker, A.B., Schaufeli, W.B., Van der Veen, H.B. & Giessen, C.W.M. (2009), “Financial problems and psychological distress: Investigating reciprocal effects

[9] Bakker, A.B. & Leiter, M.P. (eds) (2010). Work Engagement: A Handbook of Essential Theory and Research, New York: Psychology Press.

[10] Gorgievski, M.J. & Bakker, A.B. (2010). Passion for work: Work engagement versus workaholism. In S.L Albrecht (Ed.), Handbook of Employee Engagement: Perspectives, Issues, Research and Practice (pp. 264-271). Northampton / Cheltenham Glos: Edward Elgar.

[11] Taris, T.W., Geurts, S.A.E., Schaufeli, W.B., Blonk, R.W.B. & Lagerveld, S. (2008). “All day and all of the night: the relative contribution of workaholism components to well-being among self-employed workers”, Work and Stress22, 153–65. Burke, R. J. (2001). “Workaholism components, job satisfaction, and career progress”, Journal of Applied Social Psychology, 31, 2339–56. Burke, R.J. & Matthiesen, S.B. (2004), “Workaholism among Norwegian journalists: ante- cedents and consequences”, Stress and Health20, 301–08.

[12]Bakker, A.B., Demerouti, E., Oerlemans, W. & Sonnentag, S. (2010), “Daily recovery among workaholics: A day reconstruction study of leisure activities”, manuscript submitted for publication.

[13] Collins, JJ, Baase, CM, Sharda, CE, Ozminkowski, RJ, Nicholson, S, Billotti, GM, Turpin RS, Olson M, Berger ML. (2005). The assessment of chronic health conditions on work performance, absence, and total economic impact for employers. J Occup Environ Med; 47 (6): 547-57. Falco, A., Girardi, D., Parmian, G., Bortolato, S., Piccirelli, A., Bartolucci, G.B., De Carlo, N.A. (2013). Presenteismo e salute dei lavoratori: effetti di mediazione sullo strain psico-fisico in un’indagine longitudinale. Giornale italiano di medicina del lavoro ed ergonomia.

[14] Fritz, C., & Sonnentag, S. (2006). Recovery, well-being, and performance-related outcomes: The role of workload and vacation experiences. Journal of Applied Psychology, 91, 936–945.; Sonnentag & Bayer, 2005; Sonnentag, S., Mojza, E. J., Binnewies, C., & Scholl, A. (2008). Being engaged at work and detached at home: A week-level study on work engagement, psychological detachment and affect. Work and Stress, 22, 257–276. Sonnentag, S., Kuttler, I., & Fritz, C. (2010). Job stressors, emotional exhaustion, and need for recovery: A multi-source study on the benefits of psychological detachment. Journal of Vocational Behavior, 76, 355−365.; Molino, M., Ghislieri, C., & Colombo, L. (2012). Working excessively: theoretical and methodological considerations. Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, 34(1 Suppl), A5‒ A10.; Van Beek, I., Hu, Q., Schaufeli, W. B., Taris, T. W., & Schreurs, B. H. J. (2012). For Fun, Love, or Money: What Drives Workaholic, Engaged, and Burned-Out Employees at Work? Applied Psychology: An International Review, 61, 30–55. Van Wijhe, C., Peeters, M., Schaufeli, W. B., & Ouweneel, E. (2012). Rise and shine: Recovery experiences of workaholic and nonworkaholic employees. European Journal of Work and Organizational Psychology, 1–14.

 

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